BREVE MA INTENSO
di Barbara Palumbo
Cuore del programma del Milanoltre al Teatro Elfo di Milano, nel senso che è stato posto a metà della rassegna, le quattro serate dedicate alla compagnia del Galles: la National Dance Company Wales, con due programmi diversi, ma di livello magistrale.
Cominciamo con l’affermare, senza ombra di dubbio, che i danzatori hanno tutti un livello di tecnica invidiabile e che se un paio di danzatori, per i nostri canoni non hanno le “physique du rôle” dopo pochi secondi vi avranno completamente conquistato. Potremmo spendere due parole per ogni coreografia, ma ci piace lasciarvi la curiosità di navigare alla ricerca di qualche programma, in ogni caso non possiamo non menzionare Dream per la coreografia di Christopher Bruce, commissionata per le Olimpiadi 2012, e ai giochi, appunto, si ispira. Ambientata in un ipotetico campo giochi degli anni ’50, racconta le divere discipline con un pizzico di ironia. I pezzi d’insieme hanno una precisone millesimale e la divisone dello spazio e delle diagonali non annoia mai lo spettatore, che avrebbe quasi voglia di cimentarsi con loro.
Water Stories era forse una delle coreografie più attese. Firmata da Stephen Petronio e ispirata alla natura del Galles ha, dal punto di vista composito, una resa magnifica. Si resta con il fiato sospeso per 25 minuti trascinati in una magica atmosfera. In questa sequenza, però, non ci hanno convinto le proiezioni sul fondale. Certo utili per richiamare l’atmosfera bucolica, ma che alla fine stridevano per la loro eccessiva attinenza al reale, facendoci perdere il sapore onirico creato dal movimento e dalla coreografia.
Poesia pura anche il magnifico passa a due: They seek to find the happiness they seem, sulle note di Max Richter, Lee Johnson ha raccontato il mondo delle relazioni, siano queste di coppia o più intimamente personali. Matteo Marfoglia (italianissimo e formatosi all’Accademia di Roma) e Natalie Corne ci hanno regalato non solo la loro tecnica, ma anche la loro sentita interpretazione.
Chiudiamo il nostro breve commento con il pezzo che ha chiuso la sezione dedicata alla compagnia gallese e che ci ha letteralmente fatto impazzire. Tuplet di Alexander Ekman, una sequenza per sei danzatori, questi non hanno un minuto di sosta e creano con la voce ritmi su cui si muovono i passi. Ekman vuole esplorare il significato di ritmo, che non nasce solo all’interno di una partitura, ma anche in una frase o di un movimento del corpo. La coreografia è allegra, divertente, coinvolgente e alla fine la proiezione di immagini che si rifanno al mondo passato della musica jazz, ci strappa anche un sorriso malinconico.