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REVIEW – FRATTO_X

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Un teatro di rottura che facciamo fatica a capire e ad apprezzare.

di Erica Culiat

Continua a non piacermi. Certo, vedere soltanto due spettacoli del suo essere attore/regista (ma è anche scrittore) da trent’anni, non fa testo. Però, sia Io che Fratto_X sono accomunati da una comicità cattiva. Sgradevole. Ho ritrovato il suo prurito verso il pubblico considerato un po’ apatico, un po’ ottuso, che viene zittito se cerca di rispondere verbalmente, questa volta anche accecato con la luce riflessa di uno specchio, la sua bocca usata come una pistola spara battute/proiettili che non mi fanno ridere… eppure Antonio Rezza e Flavia Mastrella, i Rezzamastrella bisogna citarli sempre insieme come gemelli siamesi, lei è l’artista che costruisce gli habitat (o scene), hanno un grande successo mediatico. E di pubblico dal vivo… E hanno vinto anche tanti premi. Buon per loro.

Il 3 febbraio al Politeama Rossetti il successo è crepitato gioioso (una piccola minoranza però ha dissentito mugugnando all’uscita). Soltanto mezza platea occupata. Prima volta ospite dello Stabile del Friuli Venezia Giulia. In passato era stato invitato al Teatro Miela quando un paio di anni fa quel teatro organizzava una rassegna interessante sul teatro comico. Molto seguito e apprezzato in Friuli, tanto per restare in zona.

Una cosa bisogna dirla subito. Nessuno mette in dubbio la bravura attoriale/clownesca di Rezza che, per l’amor del cielo, non si riconosce per niente nell’estetica petroliniana e tanto meno in quella di Totò. Lui è Rezza, l’unico e originale. Architetto del suo corpo, attraverso i teli che la Mastrella ha collocato sul palcoscenico, risultato di un suo percorso artistico figurativo, e funambolo della parola. L’altra sera, per due ore di seguito. Gioca anche con la sua voce. Normale. Falsetto. Roca e falsetto. Falsetto e arrocchita. Un’intelligenza irriverente, al duralluminio. Esordisce, e dà subito la cifra di Fratto_X, gridando, «la spensieratezza va stroncata alla nascita».

Non c’è una trama. Le parole si sciolgono come un’aspirina obnubilando la mente di gas linguistici. Una parola, una frase tira l’altra, Mario lascia il posto a Rocco, Rocco lascia il posto a Rita, che dicono? boh!, e comunque questa carrellata di personaggi quasi simultanei è una delle parti più belle dello spettacolo, assieme al minuetto verbale con Ivan Bellavista, dove l’attore napoletano è un manichino e pupazzo del ventriloquo Rezza. Ivan mima, Rezza parla per due.

È la violenza verbale che non mi appartiene e il disprezzo verso lo spettatore che mi infastidisce. E mi infastidisce ancora di più perché lo spettatore non reagisce. Anzi ride. Ride tanto come se Rezza non parlasse di lui. Forse un giorno il sarcasmo di questo teatro chiamato di rottura mi sarà chiaro. O forse mai. Nel frattempo continueremo a vivere in una placida spensieratezza.

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