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REVIEW – SOME GIRL(S)

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Some Girl(s) di LaBute si lascia guardare, ma è senza infamia e senza lode.

GetInline-1di Erica Culiat

Vi capita mai di pensare, non vedo l’ora di andare a teatro perché mi interessa ascoltare quel testo di quell’autore o vedere come un regista ha messo in scena una certa opera o perché ci sono degli attori che vuoi ascoltare dal vivo?

Be’, l’altra sera, il 26 febbraio, al Politeama Rossetti di Trieste, eravamo curiosi di vedere Some Girl(s), di Neil LaBute, testo del 2005. Di lui, a teatro, questa è la prima cosa che abbiamo visto. Lo conosciamo più come regista cinematografico, suo per esempio, Possession – una storia romantica, un adattamento molto più avvincente del libro della Byatt da cui è tratto e La terrazza sul lago con Samuel L. Jackson.

Ritornando al teatro, LaBute è un autore della generazione dopo Mamet, e proprio Mamet è il suo drammaturgo di riferimento, candidato ai Tony per Reasons to be pretty, ma anche fischiato dal pubblico, c’è chi ha gridato, “uccidete l’autore”. Comunque un autore contemporaneo interessante, fortemente apprezzato da Marcello Cotugno che firma anche questa regia, più la traduzione e l’adattamento assieme a Gianluca Ficca. Proprio Cotugno ha messo in scena per primo in Italia LaBute, esordendo con Bash nel 2001, poi la Compagnia Lavia e il Teatro Eliseo hanno prodotto La forma delle cose nel 2005, due anni fa invece ha messo in scena Re(L)azioni e Some Girl(s), prodotto dalla Fondazione Teatro di Napoli e sempre sua con Mascolino D’Amico è la prima edizione italiana dei testi di questo drammaturgo americano.

GetInline-2In Some Girl(s) si parla del rapporto tra uomo e donna, messo sotto la lente d’ingrandimento, spalmato da un velo di misogenia. L’imbarazzo del re-incontrarsi è soffocato da frasi spezzate, da parole vomitate senza interruzione. Il protagonista, Guy/Gabriele Russo, prima di sposarsi con una ventenne, attraversa mezza America per incontrare delle sue ex e mettere a posto le cose, insomma per andare all’altare (ma ci andrà poi alla fine?) con la coscienza a posto. Guy a dire il vero ricorda un po’ Alfie, il protagonista dell’omonimo film interpretato da Jude Law e come lui abbandona le sue donne. Donne che sono state tappe nell’affermazione sociale e carrieristica dello scrittore. Il primo amore liceale, poi quello universitario e degli incarichi come docente. Questo rivangare il passato che si scioglie nel presente, quasi tutte sarebbero disposte a riprendere la storia da dove si è interrotta, ha però un altro fine. Raccogliere materiale per il suo libro. E infatti il protagonista registra le conversazioni nelle varie camere d’albergo dove incontra le sue ex – bravo Russo che incarna il quasi quarantenne che si comporta da eterno adolescente; viene veramente voglia di schiaffeggiarlo in qualche momento! – .

Il testo non ci ha fatto impazzire, non l’abbiamo trovato né particolarmente acuto né ironico né avvincente. Tante piccole storie che non aggiungono nulla di nuovo. E proprio un testo così poco sfarzoso dal punto di vista linguistico e di contenuto avrebbe avuto bisogno di quattro interpreti femminili molto forti che non abbiamo trovato. L’unica che ci ha convinti è stata Bianca Nappi nel ruolo di Tyler. Laura Graziosi, Roberta Spagnuolo e Martina Galletta neanche si sentivano quando recitavano.

La regia didascalica, questa successione di incontri, alla fine è risultata soporifera. Lo spettacolo si lascia guardare, senza infamia né lode, ma lo confessiamo, siamo rimasti a bocca asciutta.

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