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REVIEW – IVAN IL’IC

Teatro_Qm_6Un Ivan Il’Ic allo stato embrionale, privo di una vera idea registica

Teatro_Qm_12di Alberto Raimondi

IVAN IL’IC  al Teatro Franco Parenti di Milano è uno spettacolo che prende spunto da alcune opere di Tolstòj, tra cui Anna Karenina, Guerra e pace e La morte di Ivan Il’ic con cui culmina, “forse” un po’ troppo liberamente e un po’ troppo superficialmente. Crediamo che un lavoro di questo genere vada affrontato con maggiore rispetto e serietà.

La drammaturgia di Ola Cavagna cerca di disegnare una teatralità espressivamente giocata tra parole vive e registrate che denunciano fin da subito il tentativo di indovinare “la trovata” per sostenere un handicap scenico evidente: le proiezioni video cercano di ravvivare la staticità teatrale dovuta non tanto alla malattia del personaggio quanto alla mancanza di idee della regia.

Crediamo che quanto visto possa essere considerato un buon punto di partenza, che tuttavia non è stato per nulla sostenuto da un vero ed approfondito lavoro di regia. Tutto è stato lasciato allo stato embrionale, buttato lì e abbandonato… Si è cercato attraverso alcune trovate frivole quello che doveva essere ricercato in una direzione più attenta e studiata.

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A tratti l’idea delle proiezioni può funzionare; l’impianto scenico e le visioni sono firmate da Ginevra Napoleoni e Massimiliano Siccardi, ma avremmo preferito un lavoro più accurato e meno didascalico. Possibile che quando si parla di mare compaiono le onde e quando si parla di treni arrivi la stazione? Sarebbe stato bello uscire dagli schemi “dell’ovvio” affrontando il materiale testuale con l’intelligenza ed il rispetto che inevitabilmente sono necessari.

Tutto è stato fin troppo scontato e purtroppo la cifra stilistica si è rispecchiata anche nelle scelte estetiche dei costumi di  Ivan Bicego Varengo. E’ stato chiaro fin dall’inzio dove si volesse andare a parare: tutto è stato esposto in bella vista e la direzione intrapresa è stata chiara fin dalle prime scene. Lo stesso è valso per le luci e le musiche: tutto descrive quanto già raccontato e mostrato.

Sul palco, Mauro Avogadro e Nicola Bortolotti. Il primo potrebbe essere a tratti interessante, dal momento che investe un discreto impegno, se solo fosse stato sostenuto da una regia vera. Il secondo fin da le prime battute mostra una tecnica approssimativa ed un bassissimo livello interpretativo.

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Ironicamente chiudiamo questa recensione con la stessa preghiera che accoglie il pubblico in sala prima dello spettacolo, ed ognuno dei lettori ne tragga le proprie conclusioni:

“Dio, e adesso?
 A chi getto i semi oltre la mia spalla sinistra? 
Posso smembrare un morto e seppellirne i pezzi nei campi? 
In sogno i morti mi appaiono come maschere o topi? 
E poi, ho forse il terrore che il sole, un giorno o l’altro,
 non risorga, oppure che l’erba non cresca più?
 Vivo in questa continua ansia? L’anno è un tempo concluso,
 col suo principio e la sua fine,
 e dunque con una morte e una resurrezione? 
Il grano ha qualche importanza nella mia vita?
 Penso che un’orgia su una tomba aiuti il raccolto?
 E quanto alla luna, la trovo solidale col serpente? Mi sbaglio, Dio,
 o il tempo si riapre non ha più la sua forma d’uovo? […]
 Quel che io ho visto nei cereali,
 quel che ho imparato da questo rapporto, 
quel che ho inteso dall’esempio dei semi 
(che perdono la loro forma sottoterra, per poi risorgere)
 tutto questo rappresenta la lezione definitiva. 
Ma ora questa lezione definitiva non serve più. 
Ciò che tu vedi nei cereali, 
ciò che intendi dal rinascere dei semi è per te senza significato, 
come un lontano ricordo che non ti riguarda più… 
Infatti non c’è nessun Dio.” (Pier Paolo Pasolini, 
Preghiera su commissione)

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