Una prosa con canzoni di profonda bellezza, scritta e diretta da Sibillano e da lui interpretata con Brunella Platania; la storia è ambientata nel 1938, ma quanto è davvero cambiato da allora?
di Ilaria Faraoni
Era il 2013. Lo spettacolo si intitolava America. In quel docu-musical sull’emigrazione degli italiani agli inizi del secolo scorso, Simone Sibillano, uno degli artisti più brillanti del teatro musicale, firmava per la prima volta un testo (in quel caso insieme a Guido Cataldo) e ne curava la regia, riscuotendo consensi entusiasti da parte di pubblico e critica.
Da allora il lavoro autoriale e registico di Sibillano non si è fermato, fino ad arrivare ad oggi, con un nuovo progetto di grande qualità, nato magari in una giornata particolare, proprio come la giornata particolare di Gabriele, che Simone stesso interpreta e vive sul palco; proprio come la giornata particolare del Gabriele di Marcello Mastroianni nel film di Scola da cui Antonietta e Gabriele, con la consulenza artistica di Maria Laura Platania, trae ispirazione (la presentazione su Central Palc QUI).
Ma attenzione: lo spettacolo, andato in scena per tre serate al Teatro Altro Spazio di Roma, prende le mosse da Una giornata particolare per creare qualcosa di nuovo.
Un lavoro profondo, intenso, dalla tematica forte ma allo stesso tempo dai toni delicati è l’Antonietta e Gabriele che Simone Sibillano e la sua partner scenica Brunella Platania regalano agli spettatori.
Una coppia artistica affiatata, la cui affinità va oltre la scena e non potrebbe essere altrimenti quando si rischia su progetti nuovi, autoproducendosi (qui con l’aiuto degli spettatori che hanno partecipato ad un crowdfunding o raccolta fondi) per portare avanti idee, per raccontare ciò in cui si crede, all’interno di una realtà teatrale che troppo spesso non premia il vero talento, dandogli spazio a fatica o non dandogliene affatto.
In una sala teatrale rovesciata, con le poltrone che danno le spalle al palco su cui campeggia, solitario, il pianoforte “del” Maestro Andrea Calandrini, gli spettatori sono compresi nello spazio scenico. Tutta la platea è luogo d’azione. Gli attori recitano in quello che sarebbe stato il fondo sala, dove invece c’è la scenografia, realistica ma anche simbolica: a dividere i due appartamenti di Antonietta e Gabriele, ci sono la biancheria e le lenzuola stese sul terrazzo dei due immaginati edifici che costituiscono condominio: qui un lenzuolo è un lenzuolo, ma può diventare anche una porta. Poi si recita anche sul palco, davanti al pianoforte, alle spalle degli spettatori, con gli artisti che attraversano la platea senza uscire di scena per passare da un luogo all’altro.
È così che, con una regia molto moderna e pulita, intelligente e coinvolgente, Sibillano rende il pubblico partecipe della vicenda, assimilandolo quasi al terzo personaggio messo in campo: una sorta di coro greco che commenta oppure interagisce con i protagonisti assumendo diverse funzioni: ora vengono rappresentati i figli di Antonietta, ora i vicini di casa che giudicano, sedendo mescolati al pubblico e parlottando da una poltrona all’altra.
È lo stesso gruppo che accerchia, opprimente, Antonietta sul palco o che commenta con una gestualità coreografica e netta, le domande frenetiche sull’omosessualità e i luoghi comuni cui risponde fino a perdersi, nella furia dei concetti, delle parole e della sofferenza, Gabriele.
A sostenere la parte, i bravissimi allievi del MIP – Musical in Progress (Master di perfezionamento all’interno del CAFT, Centro Alta Formazione Teatro) che hanno dato prova di professionalità e si sono distinti per le capacità vocali nei cori: Greta Arditi, Daniele Nardone, Sofia Doria, Linda La Marca, Matteo Mammucari, Ilaria Serantoni, Giovanna Tino e Andrea Vinaccia.
Una nota di lode particolare poi a Matteo Mammucari, cui è stato affidato anche un ruolo specifico all’interno della narrazione.
Abbiamo parlato di omosessualità: sì, perché per chi non conoscesse la trama cui si ispira Antonietta e Gabriele, la storia parte da quella giornata particolare del 6 maggio 1938, data della storica rivista militare organizzata per la visita di Hitler a Roma.
In pieno regime fascista, con un Mussolini del quale Antonietta è una fervente ammiratrice, gli omosessuali sono messi al bando, mandati al confino; ed è proprio questa la sorte che deve subire Gabriele, che ha perso il lavoro e la tessera del partito, che “è un partito di ‘uomini’!”.
La storia è l’incontro di due solitudini: quella di Gabriele, derivante dal suo orientamento sessuale con tutto quello che ciò comporta, e quella di Antonietta, che agli occhi della gente ha una vita rispettabile e felice, con un marito e tanti figli, ma che in realtà è infelice e succube degli anni in cui vive: succube di un’ideologia che non ha compreso fino a quando non incontra e si scontra con la realtà di Gabriele; succube di una vita senza amore, votata ad un marito padrone che la annulla.
Vuole sentirsi bella, Antonietta, ed è proprio nel concetto di bellezza che risiede tutta la novità e la forza del lavoro scritto da Sibillano. Perché, come dicevamo all’inizio, sullo schema di base si innestano riflessioni e concetti inediti.
Tutto lo spettacolo è la ricerca di una presa di coscienza di sé e della propria bellezza, quella vera però, da cercare in mezzo al senso di inadeguatezza e fallimento che hanno accompagnato Antonietta e Gabriele fino a quella giornata particolare che li ha fatti incontrare grazie ad un pappagallo fuggito dalla gabbia: «Ma mi dite voi come si fa ad esprimere con una sola parola tutta la frustrazione la vergogna, l’inadeguatezza, la rabbia che mi portavo dietro da sempre? […] La fregatura è che tutto questo è talmente parte di me, in una sola volta, nello stesso momento, che penso di poterlo chiamare anche con una sola parola: eccola, l’ho trovata. Gabriele! Questa cosa si chiama come me: Gabriele!».
Centrale nello spettacolo è uno specchio in casa di Antonietta, antico rimando al mito di Narciso ma simbolo al tempo stesso di uno sguardo che deve andare oltre l’immagine fisica ed essere rivolto all’interno della propria anima, per arrivare ad una presa di coscienza di sé e degli altri, anche grazie all’aiuto dell’altro.
E così del mito di Narciso Simone Sibillano sceglie la versione narrata ne Il discepolo, una delle sei storie brevi che compongono Poesie in Prosa di Oscar Wilde e riportata da Paulo Coelho ne L’alchimista:
“Ma Narciso era bello?” domandò il lago.
“Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?” risposero sorprese le Oreadi. “In fin dei conti, era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni.”
Il lago rimase per un po’ in silenzio. Infine disse:
“Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza”.
Sono questi i passi del libro che Gabriele legge ad Antonietta.
Lo spettacolo è così ricco da essere uno di quei lavori sui quali si continua a riflettere dopo avervi assistito e che perciò merita di essere visto più di una volta.
Di Simone Sibillano e Brunella Platania abbiamo scritto in diverse recensioni: principalmente attivi nel campo del musical, qui si cimentano in quella che si può definire una prosa con canzoni, dove la parola vuole essere protagonista assoluta.
Con l’intensità e l’immedesimazione che sempre li contraddistingue, i due artisti rendono vivi i personaggi sul palco con i loro dolori, le loro gioie, le loro speranze, la loro rabbia o la loro tenerezza. C’è una differenza tra recitare un ruolo, svolgendo bene il compito, e prendere un personaggio e farlo diventare parte di sé ed è ciò che fanno Sibillano e la Platania, a prescindere dal genere affrontato: per questo emozionano il pubblico e riempiono la scena.
Qui la prova era ardua, anche perché un rischio di paragone con Mastroianni e Sophia Loren era dietro l’angolo, ma l’interpretazione, come il testo, sono talmente diversi e veri che il paragone non viene in mente. Prova superata a pieni voti, dunque.
Valore aggiunto, poi la vocalità dei due artisti, sui brani musicali presenti.
Le canzoni, all’interno di Antonietta e Gabriele, sono state scelte con molta cura perché continuassero ad esprimere il discorso del testo. L’accompagnamento al piano del Maestro Calandrini fa la sua parte e i brani, proposti con atmosfere e arrangiamenti emotivamente forti e significativi, vanno da Nel blu dipinto di blu – Volare (Modugno), a Una donna come me (Arisa) il cui finale si fonde con le grida di un bisticcio dei figli di Antonietta, annullata e riportata alla banalità della vita in cui è imprigionata, che non le permette di andare oltre alle mura domestiche e all’ordine che tenta di mettere in casa (altra intuizione registica notevole). E ancora si va dalla raffinata scelta di Una notte a Napoli (little orchestra Pink Martini) a Estate o Odio l’estate (Bruno Martino), passando per Passione (Neffa) fino a Oh, che sarà? cover di Ivano Fossati del brano del cantautore brasiliano Chico Buarque.
Abbiamo incontrato Antonietta e Gabriele nella loro giornata particolare: speriamo che sempre più spettatori possano presto incontrarli per capire, come l’hanno capito loro due, quanto siano belli.
Per la rubrica My Favorite Things della rivista Musical! BRUNELLA PLATANIA PARLA DI WICKED