Il Don Chiosciotte della Lviv National Opera sorprende e incanta Trieste
di Erica Culiat
Pur non avendo mai sentito nominare il Balletto della Lviv National Opera, la serata si è rivelata una sorpresa molto piacevole. Arrivando a teatro eravamo un po’ scettici per questo appuntamento tersicoreo viste le compagnie post-sovietiche, non tutte brillanti, che ormai ci vengono rifilate, invece per questo Don Chisciotte abbiamo dovuto ricrederci.
Il corpo di ballo ucraino dell’Opera di Leopoli, ospite presso la Fondazione del Teatro Lirico Giuseppe Verdi dal 18 fino al 21 dicembre 2019, ci ha incantato. Complice non soltanto la partitura esuberante e spagnoleggiante di Ludwig Minkus, (che con questo lavoro iniziò a lavorare con Petipa e lo porterà anche alla creazione de La Bayadère), eseguita con brio dall’Orchestra del Verdi diretta da Yuriy Bervetsky, ma soprattutto l’ensemble coeso, stilisticamente omogeneo. Deliziose, eteree le danzatrici, elegante il corpo di ballo maschile anche se un po’ meno “interprete” rispetto a quello femminile.
L’altra sera abbiamo assistito alla versione in tre atti di Alexander Gorsky che nel 1900 revisionò quella moscovita di Marius Petipa, il quale di versioni ne aveva fatte due, quella appunto di Mosca del 1869 e quella di San Pietroburgo del 1871. Titolo amato ovunque, non si contano i successivi adattamenti da quelli di Nureyev (Vienna 1970) a quelli di Baryshnikov del 1978 fino a Victor Ullate (1997).
La vicenda si ispira soltanto a un piccolo episodio tratto dal romanzo di Cervantes, El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha, sull’amore contrastato tra Kitri e Basilio, propiziato dal Cavaliere errante con un happy end pirotecnico – Petipa aveva costruito il suo balletto sulla falsariga de Les Noces de Gamache di Louis Milon prima creazione importante del 1801 -.
Due ore e mezza in cui la tensione non viene mai meno perché il Don Chisciotte è un tourbillion incessante di danza classico-accademica intrecciata a quella della tradizione folclorica iberica, merlettato da intermezzi pantomimici, quelli dell’hidalgo (Yuriy Grygoriev), del rocambolesco Sancho Panza (Borys Yakubus), del pomposo e infiocchettato Gamache (Vitality Ryzhyy), il nobile, sciocco danaroso che Lorenzo, il padre di Kitri, di cui non è dato sapere il nome, vuole far sposare alla figlia.
Purtroppo dal libretto di sala si evincono soltanto i personaggi principali, segue l’elenco dei nomi della compagnia; un peccato perché andava messa in luce anche la qualità di esecuzione di alcune danzatrici, in particolare quelle nel ruolo di Juanita e Piquilla, le amiche di Kitri, di Cupido, della regina delle Driadi, della Danzatrice di strada e di Mercedes.
Fin dal suo apparire nella piazza del villaggio Yaryna Kotys ci ha estasiati. Il ruolo di Kitri sembra ritagliato su di lei. È la prima volta che la ammiriamo come danzatrice, ci è sembrata comunque un’artista di grande temperamento, dalla mimica facciale esuberante, sicura nei fouettés (punte d’acciaio) e nei giri vertiginosi, ma sempre impeccabili, in perfetta sintonia con Olexsander Omelchenko, il suo Basilio, grande elevazione, facilità tecnica, e simpatico interprete nel ruolo dell’innamorato ma che tuba anche con le amiche di Kitri per farla ingelosire.
Il corpo di ballo numeroso, possiede una buona qualità scenica. D’impatto il numero dei picadores del torero Espada, lui un po’ legnoso nei movimenti, con i mantelli che vengono fatti roteare.
Magica la scena del Sogno di Don Chisciotte nel secondo atto, quello delle Driadi, immerso in una penombra boscosa, tipico atto bianco, richiamo ai balletti del primo romanticismo, la firma di Petipa, che rappresenta il contrasto tra sogno e realtà, a lieto fine però perché impostato sul genere della commedia. Costumi sfarzosi.
Dispiace per la platea semivuota, ma gli applausi sia fuori scena sia nel finale hanno scatenato il pubblico.