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REVIEW – DON GIOVANNI

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Don Giovanni rimane sempre un testo difficile. Preziosi nel doppio ruolo di regista e protagonista sembra averlo sottovalutato.

PREZIOSI-locandinadi Alberto Raimondi

Khora.teatro e Teatro Stabile d’Abruzzo portano in scena al Teatro Nuovo di Milano il Don Giovanni di Molière, produzione basata sulla presenza di Alessandro Preziosi nella doppia veste di protagonista e regista.

Khora.teatro con il Don Giovanni prosegue la strada di portare in scena grandi classici del teatro, rivolti ad un vasto pubblico popolare, pur strizzando come sempre l’occhio nel confezionamento editoriale alle nuove generazioni come precedentemente aveva fatto con “Amleto” e “Cyrano”. Iniziativa lodevole che apprezziamo sperando che i titoli celebri non siano solamente sfruttati per una buona pubblicità, ma che siano rispettati per la loro importanza.

Titolo celebre e personaggio “ingombrante” quanto mitico, innumerevoli le versioni portare in scena in diversi generi teatrali, fra tutti il capolavoro mozartiano che marchia a fuoco la storia di questo personaggio e lo rende ancor più ostico nell’essere affrontato. 
La fortuna letteraria è cominciata nel 1630, quando Tirso de Molina, probabilmente ispirandosi a racconti popolari che utilizzavano i padri Gesuiti, negli spettacoli edificanti dei loro piccoli allievi facendone il prototipo dell’eretico blasfemo per definizione, scrisse il suo Burlador de Sevilla. Venne in seguito ripreso dalla Commedia dell’Arte italiana, che lo incluse nel suo repertorio accentuando gli aspetti più comici della vicenda.

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Molière, attinge a queste fonti italiane e le rielabora per ricavarne un suo personale Don Giovanni: ritraendolo come un personaggio raffinato, cinico, dissacrante, in aperta opposizione con le convenzioni sociali, pronto a burlarsi anche della religione.

Da Ponte prese, per così dire, il meglio di ciascuna fonte, eliminando i personaggi minori e creando una storia con una grande varietà di toni: un dramma giocoso in cui il comico e il drammatico si incrociano di continuo, e in cui agiscono personaggi di estrazione sociale molto diversa (aristocratici, servitori, contadini). Da Ponte ha steso nella compresenza di toni drammatici e comici un materiale drammaturgico teso a coniugare l’esaltazione ed il senso tragico dell’opera suggerito da Mozart, e le mirabili leve sulle parti comiche, necessarie per meglio andare incontro al gusto del pubblico.

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A quasi quarant’anni dalla morte di Mozart (1791), Puskin, il più innovativo tra i poeti e narratori del romanticismo russo scrive nel 1830 Il convitato di pietra – variazione sul tema del Don Giovanni – dove la statua del Commendatore è convocata dal Don Giovanni non a un banchetto, ma, con cinica empietà, ad assistere al suo incontro amoroso con la di lui vedova, incontro che si concluderà con la morte del seduttore per la stritolante stretta della marmorea mano dell’ ospite incautamente invitato.

Il Don Giovanni di Puskin non è un banale donnaiolo, collezionista di femmine per sfogo fisiologico o edonistico svago, ma a dominare è una volontà di potenza, di affermazione di sé che nasce da un vuoto esistenziale, da una sorta di noia metafisica, e insieme da un timore di fallimento. Un Don Giovanni che, prossimo al termine della sua carriera, diviene finalmente capace di amare.

Certo che con questa eredità non è facile per nessuno affrontare questo personaggio, sia in scena che dietro le quinte, forse Alessandro Preziosi ha leggermente sottovalutato l’impresa, soprattutto cercando di portare avanti la duplice funzione, infatti, a sprazzi la regia ha dei momenti interessanti così come la recitazione, ma non è un lavoro costante e approfondito: sarebbe stato meglio concentrarsi su una sola parte ed essere più minuziosi sul singolo lavoro.

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Troppo altalenante e discontinuo per un testo ed un personaggio così complesso, che tutto va fatto ma non affrontato con superficialità. Al contrario va cesellato in ogni particolare che sia esso un passo od una parola. Peccato perchè soprattutto all’inizio il materiale è buono e promette bene, ma con il passare delle scene c’è un calo d’intensità e di ritmo, il finale diventa debole e ripetitivo.

I costumi tradizionali di Marta Crisolini Malatesta creano un bel contrasto con le scenografie proiettate di Fabien Iliou, soprattutto dove queste ultime sono più visionarie mostrano il loro aspetto più interessante mentre dove cercano di essere più tradizionali e didascaliche il risultato è scontato e di bassa qualità. Interessante, come dimostrato in altre precedenti produzioni, l’utilizzo di un apparato tecnologico che comprende l’uso di videoproiezioni e altre soluzioni multimediali innovative, ma sempre contestualizzate, con la direzione degli attori sul palcoscenico.

Le luci di Valerio Tiberi si devono adeguare più possibile all’impianto scenico e soprattutto alle proiezioni frontali, per cui molti tagli laterali che alla fine portano a termine un buon lavoro. Invece le musiche di Andrea Farri non riusciamo bene ad inquadrarle, non capiamo in che direzione vogliano andare partendo da uno stile per poi sfruttare la musica classica più conosciuta.

In scena accanto al protagonista fra tutti il simpatico Nando Paone nel ruolo di Sganarello, a seguito in diversi ruoli: Lucrezia Guidone, Roberto Manzi, Matteo Guma, Daniele Paoloni, Barbara Giordano, Daniela Vitale.

Qui la nostra video intervista ad Aessandro Preziosi in collaborazione con VIDEO TOP:

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