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REVIEW – LIFE IN PROGRESS. SYLVIE GUILLEM E L’ADDIO ALLE SCARPETTE.

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Eta Carinae. E’ la stella più luminosa del firmamento e ci sembra doverosa accostarla a lei: Sylvie Guillem la più grande senza se e senza ma.

UltimoTourdi Barbara Palumbo
Trovare un titolo e un incipit per raccontare lo spettacolo più atteso del 2015 e che segna l’addio alle scene (ci auguriamo solo come ballerina) della più grande étoile di tutti i tempi, non è certo facile; così riportiamo le sue parole che ben ci fanno comprendere lo spirito della grande danzatrice:

“Ho amato ogni momento di questi 39 anni, e oggi è ancora così. Quindi, perché fermarsi? Molto semplicemente perché voglio chiudere la mia carriera mentre sono ancora felice di fare ciò che faccio con orgoglio e passione. Inoltre… ho un amico, un agente segreto, a cui ho dato “licenza di uccidere” nel caso provassi a danzare più del dovuto! E sinceramente, vorrei risparmiargli questo compito.”

Ecco in queste quattro righe c’è la sintesi di una grande artista con un’immensa consapevolezza e un grande rispetto per il suo pubblico e per l’arte di Tersicore. Si è data, Sylvie Guillem, alla danza e al suo pubblico, con passione e determinazione perché senza quelle puoi essere anche la più dotata ballerina del modo, ma ti perdi. Lei è nata sotto una stella magica, ma ha sempre inseguito la perfezione, non si è accontentata, mai. Sarà stato il suo grande mentore Rudolf Nureyev, che passava giornate intere in sala a ripetere i passaggi ostici, e che l’ha nominata nel dicembre del 1984,  a soli 19 anni, étoile. Sarà stato il suo immenso rispetto per il pubblico che l’ha portata alla ricerca dell’accuratezza di ogni singola esecuzione. Sarà…. Sarà… sarà che di Sylvie Guillem ce n’è e ce ne sarà una sola.

Il suo ultimo tour, annunciato alla fine del 2014, si è fermato a Modena al Teatro Comunale Luciano Pavarotti. Il programma è composto da quattro coreografie firmate da Akram Khan, Russell Maliphant, Mats Ek e William Forsythe, quest’ultimo però ha riproposto una sua vecchia creazione eseguita da due eccelsi ballerini: Brigel Gjoka e Riley Watts.

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Partiremmo da questo pezzo dal titolo Duo. I due danzatori si muovono su uno spazio inizialmente molto ridotto, sono in proscenio e alternano brevi sequenze in perfetto sincrono a momenti i cui le due personalità sono totalmente emergenti. Il peso dei due danzatori è inesistente. La sequenza ha quasi vent’anni, ma è dal punto di vista dello stile e della scelta del movimento è ancora attualissima.

Lo spettacolo, però, è aperto dal solo eseguito dalla Guillem su creazione di Akram Khan, una prima assoluta, dal titolo Techne. Il tema è incentrato sul ruolo e sull’uso della tecnologia; sulla capacità di vera o presunta dei mezzi tecnologici di far entrare in comunicazione le persone. La Guillem parte al suolo, si muove in maniera sincopata è un animale che prende improvvisamente vita. Il movimento è distantissimo dalla fluidità della danza classica, eppure anche in questo ha una naturalezza sconvolgente. Pensare che riesca a segmentare, con questa precisone, ogni parte del suo corpo è stupefacente. Al centro del palco c’è una sorta di braccio meccanico (sembra quasi un microfono con un’asta). Questo si muove secondo le indicazioni fornite dalla danzatrice. La musica è costruita con percussioni, beatbox, violino ed elementi elettronici, il tutto è estremamente suggestivo.

Come Techne, anche Here and After è una prima assoluta di Maliphant che ha costruito un passo a due per la danzatrice francese e la nostra scaligera Emanuela Montanari.

Le sequenze sono fluide e morbide, le due donne si muovono nello spazio in maniera autonoma o vincolante tra loro, dove il gesto dell’una confluisce nel movimento dell’altra. La Montanari ha una grande padronanza della tecnica e una bella presenza, ma, non ce ne voglia, quasi sparisce, l’occhio cade sempre su questa magica cinquantenne. La coreografia è ben costruita ed equilibrata. Non ci sono  momenti in cui Maliphant predilige l’una piuttosto che l’altra, e la Guillem non sembra certo voler rubare la scena, ma di fatto emerge.

Bye di Mats Ek chiude la serata. E’ vero che noi abbiamo un debole per questo coreografo, ma l’ironia che riesce a tirare fuori dalle sue sequenze e dai suoi interpreti è unica.  Al centro palco una tela alta circa due metri, sembra quasi una porta, su cui viene proiettata l’immagine delle Guillem che emerge poi proprio da dietro la struttura. Agisce e reagisce con la propria proiezione con naturalezza e fino a staccarsi completamente dalla proiezione, dal suo alter ego, da un’altra dimensione. Sulle note di Beethoven, i movimenti e le camminate tipiche del coreografo svedese, vengono interrotte dalle meravigliose linee create dai développés e dai ronds de jambe,  portati come sempre con una grande naturalezza. Sulla tela compaiono diverse figure, tra cui anche lo stesso Mats Ek,  chiamano Sylvie, la invitano a varcare la soglia. Sylvie scompare, si perde in mezzo alle persone oltre la porta. Ci saluta…

Bye Madame Guillem, magari in un’altra dimensione, con un’altra forma, però vorremmo che fosse un “au revoir”.

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