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REVIEW – LO SCHIACCIANOCI

Il restaurato Schiaccianoci di Amodio/Luzzati torna ad incantare l’Italia

di Erica Culiat

Natale uguale Schiaccianoci. Una formula vincente. Non a caso il New York City Ballet ripropone ogni anno, dalla fine di novembre fino a dicembre, la versione di Balanchine.

A Trieste, in questo scorcio del 2016, è la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi che, nella settimana dal 14 al 18 dicembre, l’ha messo in calendario. Ha scelto la versione Amodio/Luzzati quella recuperata da Daniele Cipriani che ha comprato e restaurato questo, ma anche altri allestimenti chiusi da anni nei depositi dell’Aterballetto, per farli rivivere.

E per lo Schiaccianoci il suo fiuto è stato vincente perché in tutta Italia, il tour di questo balletto del 1892, sicuramente quello che ha subito maggiori modifiche ed elaborazioni, sta mietendo successi ovunque, compreso il capoluogo giuliano.

La versione di Amedeo Amodio è del 1989. Interpreti di ieri, Elisabetta Terabust e Vladimir Derevianko, quelli di oggi Ashley Bouder e Andrew Veyette (sostituiti nelle repliche pomeridiane del week end da Anbeta Toromani e Alessandro Macario) con il corpo di ballo della Cipriani Entertainment.

Come a suo tempo aveva affermato lo stesso coreografo, il balletto era stato reinventato, puntando sulla riaffermazione del desiderio e della sfera dell’inconscio. Tutto sommato Amodio fa emergere dal racconto di Hoffmann, l’aspetto magico ma anche dark della storia, connotazioni subito accantonate da Petipa-Ivanov, utilizzando le ombre della compagnia Asina sull’Isola (l’ideazione è di Teatro Gioco Vita) e infilando nella partitura di Tchaikovsky, gli inserimenti musicali di Giuseppe Calì, sulfurei quanto basta per far scivolare la storia da sogno a incubo.

L’operazione di Cipriani merita sicuramente il plauso, si tratta di un pezzo della nostra storia ballettistica che le nuove generazioni possono vedere, ma a onore del vero, abbiamo trovato questa versione lenta. Forse siamo entrati in una fase post-futuristica, dove la velocità e il dinamismo spadroneggiano, però tutte le ombre, riproposte più e più volte, allungano lo svolgimento del balletto e nel secondo atto i divertissement sono interrotti ogni volta dalla chiusura del sipario – tra l’altro bellissimo questo di Luzzati, una vera gioia per gli occhi! -, noioso perché spezza l’azione.

Deludente anche il Valzer dei Fiocchi di Neve; dalla crepitante inventiva di Luzzati di cui ci si pasce in tutto il balletto, ci saremmo aspettati tutto, ma non una scena illuminata soltanto da una luce fredda a evocare un paesaggio innevato. Davanti agli spettatori il corpo di ballo femminile, bianco vestito, in questo pezzo, non particolarmente accattivante. Sul fondo crepita una lieve polvere che simula la neve.

Dalla quasi eliminazione che ne aveva fatto Sergei Bobrov, il prediletto di Yuri Grigorovic – quattro ballerine e palle da tennis che venivano lanciate in scena – ai danzatori di Mark Morris che spiccavano salti da un lato all’altro del palcoscenico spargendo polvere di brillantini, questo però era per lo meno umoristico, qui siamo rimasti a bocca asciutta.

Lo Schiaccianoci si guarda, si applaude. A flash: primo atto, festa di Natale a casa Stahlbaum, rutilante nei colori dei costumi degli invitati (sempre di Luzzati di cui ricorre il decennale della scomparsa), nelle parrucche colorate che indossano come piccole montagne di zucchero filato; sempre entusiasmante la sfilata delle bambole meccaniche, quel gusto caro a Hoffmann per gli automi, come in Coppelia, altro balletto restaurato da Cipriani e che sarà in tour nel 2017.

Apprezzati i tanti piccoli inserimenti circensi, che ricordano di sfuggita la versione di Bejart, la musica dal vivo che è un ornamento prezioso, sempre, qui l’orchestra del Teatro Verdi diretta da Alessandro Ferrari, i solisti dei divertissement, le varie danze spagnole, arabe, cinesi, perfetti nell’esecuzione e Drosselmeier, Valerio Polverari, clawnesco nel trucco con una grande presenza scenica. E poi una nuova Clara, aristocratica quella della Bouder, gran lavoro di punte ed eleganti port de bras, mentre il principe schiaccianoci di Veyette è un principe dalla buona elevazione, sicuro nei giri, a suo agio nel ruolo.

Il pubblico adulto ha apprezzato, tributando tanti bravo ai solisti, andando a casa, crediamo, soddisfatto.

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