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REVIEW – CITAS E CIEGAS

Citas e Ciegas: uno straordinario teatro di parola

di Erica Culiat

Non dico che si viva di rimpianti, ma di sicuro dalla memoria può straripare qualche avvenimento cui indugiamo a occhi aperti chiedendoci sommessamente, «e se quella volta avessi fatto diversamente?». Insomma degli sliding doors ipotetici.

Il protagonista di Cita a Ciegas (Confidenze fatali) dell’argentino Mario Diament, un attempato scrittore cieco, interpretato ironicamente da Gioele Dix, che rimanda a Jorge Luis Borges, nel corso della sua vita ha ripensato a quell’incontro mancato sulla scala mobile a Parigi dove, in una manciata di secondi, i suoi occhi sono inciampati in quelli di lei. Ed è stato colpo di fulmine. La ragazza però stava scendendo da quella scala mobile e lui salendo. Per molti giorni lui ritorna in quella stazione nella speranza di ritrovarla. Il suo volto scolpito nella mente e il ricordo del libro che teneva in mano L’educazione sentimentale di Flaubert, ma senza esito.

Oggi, cieco, lo scrittore sta seduto su una panchina in Plaza San Martin. I fiori di jacaranda spandono il loro profumo e accanto a lui si avvicendano di volta in volta, un uomo, una ragazza e una donna i cui destini, scopriremo, sono incrociati.

Sembra un testo di Oscar Wilde dove tutti stanno seduti e parlano e sembra che non accada nulla, ma le parole hanno una forza dirompente e qui ci fanno viaggiare nell’interiorità delle persone restituendoci le loro paure, i loro desideri, le loro delusioni e fragilità. È un teatro di parola assolutamente meraviglioso dove l’attenzione resta sempre vigile durante i 120 minuti di durata. Possiamo definirla una pièce circolare, ogni storia raccontata serve a concludere il cerchio con un lieto fine che non sveliamo. In mezzo un omicidio, un femminicidio e due famiglie rovinate.

Questo testo, allestito nel 2018 per la prima volta in Italia da Andrée Ruth Shammah che cura traduzione, adattamento e regia, è considerato il capolavoro di Diament. Cinque anni in cartellone a Buenos Aires e poi in molti teatri del Sud America, degli Stati Uniti, europei e fino al 12 gennaio a Trieste al Politeama Rossetti dove conclude il suo tour italiano.

La regia della Shammah delinea con delicatezza l’incontro tra lo scrittore e l’uomo (Elia Schilton), un bancario in crisi di mezza età che si è innamorato di una ragazza più giovane, una scultrice che gioca con i suoi sentimenti. Lui racconta la sua storia prima con ritrosia e poi lasciandosi andare. Un uomo che con parrucca e baffi posticci la seguirà dappertutto, ossessionato da questo amore che dopo vent’anni di matrimonio lo fa sentire vivo, ma che lo porterà alla rovina. Lei infatti vuole partire per Londra e lui non accettando questa decisione, la strangolerà.

La regia si fa più vibrante con l’entrata in scena della ragazza (Valentina Bartolo, un incendio visivo), un maschiaccio con i pugni in tasca, ma tanto trucco in faccia, la sua maschera, che racconta allo scrittore del suo amore, un pittore, che sta morendo e della liaison con un uomo maturo. E come per riprendere fiato, la Shammah ci traghetta nello studio della psicologa (Silvia Giulia Mendola, misurata nella sua tragicità), complice la scena di Gian Maurizio Fercioni che, da quella che all’inizio ricorda una stampa giapponese, un muro, una panchina e i rami carichi di fiori, spalancandosi si trasforma in una stanza stracarica di libri.

Ma è un riprender fiato fittizio perché la scena avvampa. Entra lei. La donna. Laura Marinoni. Vera. Commovente. Piena di lividi nell’anima. Ci sgualcisce con la sua bravura. Beninteso! Tutto il cast è straordinario, ma la parte della Marinoni donna insoddisfatta, madre che si rimprovera, come tutte le madri, potevo fare meglio, che soffre la perdita della figlia, la scultrice che voleva andare a Londra, che soffre dell’amore mai espresso per lo scrittore, be’, è una parte che abbiamo sentito subito nostra e ha artigliato il nostro cuore.

La psicologa poi non è altri che la moglie del bancario e nonostante tradita, abbraccia quel marito che non la vuole più, forse, perché anche lei come la sua paziente rimasta accanto a un marito che non sopporta, ha più paura della solitudine che dell’indifferenza.

In ogni personaggio possiamo ritrovare qualcosa di noi; la regista ce li fa toccare nell’anima e ci conquistano. Anche il bancario, pur nella sua ossessiva follia. Anche la ragazza con quella sua voglia di giocare pericolosa; anche lo scrittore che sa ascoltare e che maieuticamente fa raccontare agli altri il loro microcosmo. Uno spettacolo da non perdere. Da scoprire e riscoprire. Purtroppo la platea era quasi deserta di pubblico che però ha applaudito con energia ed entusiasmo.

CITA A CIEGAS

di Mario Diament
traduzione, adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
con Gioele Dix – Laura Marinoni, Elia SchiltonSilvia Giulia Mendola, Valentina Bartolo
scena Gianmaurizio Fercioni
luci Camilla Piccioni
costumi Nicoletta Ceccolini
musiche Michele Tadini
produzione Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana

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