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REVIEW – TAXI A DUE PIAZZE

Gianluca Guidi e Giampiero Ingrassia

GUIDI E INGRASSIA SPOPOLANO CON UN CLASSICO DI COONEY

di Ilaria Faraoni

Nuovo debutto, il 9 maggio scorso alla Sala Umberto di Roma, per Taxi a due piazze (Run For Your Wife -1983), una delle più note e rappresentate commedie di Ray Cooney. Gianluca Guidi riprende la regia dello spettacolo (già in scena da qualche tempo) con un nuovo coprotagonista d’eccezione, Giampiero Ingrassia, che prende il posto di Gianluca Ramazzotti: quest’ultimo si mantiene dietro le quinte come produttore per l’Associazione Culturale Artù.

L’adattamento italiano è di una grande firma: Jaja Fiastri, nome indissolubilmente legato a Garinei e Giovannini da una collaborazione trentennale.

In questa complicatissima quanto esilarante commedia o farsa degli equivoci, Guidi è particolarmente “a casa”, avendola interpretata fin dal 2000, sotto la guida di Gigi Proietti. Per di più Guidi ha già messo in scena anche una sorta di sequel scritto dallo stesso Cooney nel 2001: Caught in the net, in italiano Chat a due piazze.

Molto diverse le interpretazioni dei due mattatori, Guidi e Ingrassia, rigorosamente in ordine alfabetico. Il primo potrebbe essere definito il “padrone di casa”, non solo per la sua veste di regista e per la lunga frequentazione col testo: è proprio lui, infatti, ad interpretare Mario Rossi, il tassista bigamo proprietario di due appartamenti divisi con due differenti mogli, una sposata in Chiesa ed una in Comune, all’insaputa l’una dell’altra. Più sopra le righe l’interpretazione di Guidi, la cui comicità nella pièce è legata, oltre alla gestualità, anche ad un certo sovraccaricare molte intonazioni vocali (la commedia lo permette); più improntata alla naturalezza quella di Ingrassia (l’amico Walter Fattore che abita al piano di sopra) la cui comicità si basa molto, oltre che sul modo di porgere le battute, sulla mimica facciale e sull’espressione fisica fatte non solo di esplosioni di forte impatto, ma anche di momenti più stringati, essenziali o di pause che gli conferiscono una vis comica irresistibile: gli bastano una posa fissa o uno sguardo per far ridere e scatenare l’applauso.

Si tratta dunque di una coppia che sta molto bene insieme forse proprio per questa complementarità, in un lavoro che è tutto un incastro di ritmi, battute, spostamenti veloci, intrecci che tengono in piedi la grande macchina degli equivoci ideata da Cooney: sicuramente un grande impegno a livello fisico e mentale, ripagato dalle risate continue del pubblico e da numerosi applausi a scena aperta, in una commedia che parte come un diesel, per prendere pian piano velocità fino all’apice del gran finale che vede tutti i personaggi (che fino a quel momento erano stati sempre separati ora in una casa, ora nell’altra) riuniti insieme nel delirio totale.

Nini Salerno, in partecipazione, è sempre preciso nei tempi ed efficace. Silvia Delfino (Carla) e Biancamaria Lelli (Barbara) hanno il difficile compito di tenere testa a due personalità molto forti come quelle di Guidi e Ingrassia: le due “mogli” del tassista prendono maggior forza (forse anche per la struttura della commedia) soprattutto nel secondo atto, dove l’accumularsi di false identità coinvolge non più solo i due uomini, ma anche le due donne, permettendo loro maggiori possibilità espressive.

Da notare la prova interpretativa di Piero Di Blasio, un artista a tutto tondo che ogni volta, in vesti diverse (attore, attore-cantante, regista, autore) riesce a fare presa sul pubblico, conquistandolo: qui lo vediamo nel divertentissimo ruolo del vicino di casa “che sta sopra”, un personaggio che rischia di diventare una macchietta (se non bene interpretato) e che invece Di Blasio riesce a tenere nel giusto registro.

Chiude il cast Antonio Pisu (l’ispettore Pettinicchio) che, tra tutti, ha il ruolo più “normale”: è l’unico a non essere coinvolto in scambi di identità, a rimanere un po’ fuori dagli intrecci; la sua parte permette quindi meno gioco attoriale.

Vincente l’idea scenografica, presente anche nelle produzioni non italiane, che vede i due appartamenti separati, a livello visivo, unicamente dal colore delle pareti: in questo caso una metà è celeste, l’altra beige. Ogni casa ha una porta sul fondo che è esclusiva di ciascun appartamento. Al centro c’è un divano che invece è unico e rappresenta anche uno spartiacque; è l’elemento che di volta in volta appartiene all’una o all’altra casa; è il fattore visivo che unifica, quasi un simbolo del legame che c’è tra i due luoghi e le due vite “parallele” di Mario. Delimita infine lo spazio, perché dietro al divano è tutto idealmente diviso in modo rigoroso, davanti al divano lo spazio è flessibile e appartiene ora alla casa di Piazza Risorgimento, ora a quella di Piazza Irnerio 100. La difficoltà della regia e degli attori è proprio quella di mantenere chiara agli spettatori la diversità degli ambienti, la differente collocazione dei personaggi, che spesso quasi si sovrappongono. Il bello è proprio questo: constatare con soddisfazione che non c’è un cedimento, non c’è una posizione sbagliata, non c’è un solo sguardo sfuggito che facciano crollare questa concezione di spazio: la sfida è vinta al 100%.

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Video ufficiale della prima dal canale youtube della Sala Umberto:

http://www.youtube.com/user/teatrosalaumberto/videos

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