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REVIEW – KENSINGTON GARDENS

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Giancarlo Nicoletti chiude la sua trilogia con un connubio vincente tra classico e contemporaneo.

di Ilaria Faraoni – foto di Luana Belli

Presentato da Planet Arts colletivo teatrale in collaborazione con Accademia Internazionale del musical Roma, è in scena fino a domenica 6 marzo, alla Sala Uno Teatro di Roma, Kensington Gardens, lo spettacolo che chiude quella che il suo autore, Giancarlo Nicoletti, ha identificato come la Trilogia del contemporaneo, una triade di testi che presto vedranno anche la pubblicazione: gli altri due sono Festa della Repubblica e #salvobuonfine.

IMG_5770Nicoletti, che firma come sempre anche la regia, ha voluto, con quest’ultimo lavoro, ambientato in una ipotetica Inghilterra, simbolica o di un prossimo futuro, prendere le mosse da Il gabbiano di Čhecov (1896) e innestarlo in problematiche ed espressività contemporanee.

L’operazione riesce molto bene, vista anche la straordinaria attualità dello scrittore russo, che tolti i pochi riferimenti all’epoca in cui viveva, potrebbe aver scritto Il gabbiano proprio oggi.

Le riflessioni sull’Arte e su tutto ciò che di meno artistico ruota intorno a tale mondo, riflessioni che Nicoletti sposta dal teatro alla musica – con riferimenti immancabili ai talent show – sono di forte attualità, così come lo sono il dramma dell’esistenza, della solitudine, dell’indifferenza, della mancanza di amore, dell’egoismo, della conflittualità genitori/figli propri del testo di Čhecov e amplificati in Kensington Gardens. A tutto ciò si unisce poi, senza stridere, la tematica, tutta nuova e di forte attualità, del problema dell’immigrazione.

IMG_6134Per lanciare un messaggio forte, Nicoletti ruota la prospettiva: e se un giorno non troppo lontano, in una Inghilterra cui potrebbe anche sostituirsi una qualsiasi altra nazione x, fossimo noi italiani a diventare gli indesiderati, sui quali le squadre del partito al governo hanno facoltà di sparare a vista per le strade? E se, per rimanere sul suolo britannico, sprovvisti di nazionalità e non essere rimpatriati o uccisi, un gruppo di persone legato da parentele o da diverso tipo di rapporti, si trovasse costretto a vivere, senza poterne uscire, in una villa del parco di Kensington, a spese della Corona?

Soffermiamoci un attimo proprio sul luogo scelto dall’autore per portare avanti tutti gli eventi, luogo tanto importante da divenire anche identificativo di tutto il lavoro: Kensington Gardens.  Chi, sentendo nominare i giardini di Kensington non pensa immediatamente a Peter Pan e all’Isola che non c’è? Ecco: la villa nel parco, dove i protagonisti vivono giorni obbligati, è  per ognuno di loro una sorta di Isola che non c’è: un luogo dove si ferma il tempo, dove non si vive una vita vera; è il luogo della non azione, dal quale tutti vogliono scappare ma che al tempo stesso rappresenta una sorta di rifugio dal quale nessuno vuole andarsene veramente, per restare in una sorta di oblio, lasciando le decisioni ad altri, perché la vita vera fa paura.

IMG_5832Giancarlo Nicoletti, complice la cornice perfetta del Teatro Sala Uno, che è ricavato dalla navata centrale della cripta della Scala Santa, mantenendone la struttura ad archi in mattoni, riesce a creare un’atmosfera sospesa e allo stesso tempo tragica fin dalle prime battute: anche chi non conosca la storia del Gabbiano, di cui Kensington Gardens segue la struttura principale della trama e alcuni dialoghi, avverte fin dall’inizio che non potrà esserci salvezza.

Alcuni personaggi, pur approfonditi maggiormente e con alcuni importanti cambiamenti psicologici, ricalcano più precisamente quelli cechoviani e la rispettiva funzione che svolgono nella storia: Elena (Annalisa Cucchiara), la superficiale cantante di successo dedita più a se stessa e alla sua carriera che al figlio, corrisponde a Irina; Tommaso (Riccardo Morgante), figlio di Elena, aspirante musicista, idealista e innovatore, schiacciato dalla non considerazione e dalla indifferenza della madre, nonché dal tradimento della ragazza che ama, è riconducibile a Konstantin Treplëv; Julia (Eleonora De Luca) la ragazza inglese di Tommaso, l’aspirante cantante che si rovinerà la vita per seguire il suo sogno e l’amore per Massimo De Maiori, è la Nina checoviana; Massimo De Maiori (Luca Notari) il compositore di successo, uno dei personaggi che nel testo di Nicoletti è più dissimile dal suo alter ego, altri non è che lo scrittore Trigorin, compagno di Elena/Irina che metterà incinta Julia, per poi abbandonarla al suo destino.

Altri fondamentali personaggi sono inseriti da Nicoletti ex novo.

Quello che nel testo era il fratello di Irina, Sorin, diventa qui una donna, Cecilia (Cristina Todaro) la sorella di Elena,IMG_6067 con ben altre problematiche e spessore; e ancora troviamo Sabrina (Valentina Perrella) che può in qualche modo accostarsi a Maša nell’amore non corrisposto per Tommaso/Konstantin, ma che qui diventa una donna complicata, una madre che, lungi dall’essere appagata, è alla ricerca di un amore e di una sicurezza mai trovati; poi c’è Paolo, il chimico, marito di Sabrina, alle prese con l’esame di cittadinanza per poter rimanere, libero, in Inghilterra con la sua famiglia; infine c’è William (Francesco Soleti) il magistrato inglese, un uomo sposato che ha una relazione di comodo con Cecilia e che rappresenta uno dei punti di contatto con l’esterno grazie alla sua posizione privilegiata, che non serve tuttavia a non fargli invidiare la libertà e la creatività che può avere un artista.

Kensington Gardens dunque risulta un lavoro molto interessante, sicuramente da vedere e metabolizzare e sul quale riflettere, forte di un cast eccezionale, di grande qualità tecnica ma soprattutto espressiva e introspettiva: un cast che al termine dello spettacolo è scosso quanto gli spettatori in sala e senza il quale, non si sarebbe potuto raggiungere l’effetto desiderato.

Senza voler svelare troppo è impossibile non citare lo sfogo disperato di Paolo e ancora l’ultimo colloquio, fatale, tra Tommaso e Julia, una delle scene più intense e cariche di significato del lavoro; per terminare non si può non menzionare il finale dello spettacolo, che rimane scolpito per la sua forza, per la dissonanza con cui si impone la tragedia insinuandosi nell’ostinata leggerezza dei protagonisti ed in particolare di Elena, sulla quale, inconsapevolmente tragica (ma forse non del tutto inconsapevole), si spengono i riflettori.IMG_6303

Aiuto regia: Sofia Grottoli e Martina Tonarelli. Consulenza Musicale: Marco Bosco.

Lo spettacolo aderisce alla promozione Il Teatro ti porta a teatro: con il biglietto della Sala Uno si potrà usufruire di uno sconto per L’Amore è ‘na cicatrice, al Teatro Arvalia di Roma.

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